Tribunale Vicenza sez. I, 19/04/2021 n. 816

Una cliente citava in giudizio la propria società di consulenza finanziaria esponendo di aver stipulato con la stessa un contratto di consulenza su investimenti mobiliari; all’investimento effettuato in una credit linked note seguiva l’incasso di una cedola e del valore alla scadenza che registrava un’importante minusvalenza.

L’attrice chiedeva quindi la condanna della società convenuta al risarcimento del danno.

Costituitasi in giudizio, la società, nel chiedere il rigetto delle domande della cliente, aveva evidenziato la corrispondenza della profilatura Mifid al livello conoscitivo della stessa; l’investitrice “si sarebbe aggiornata settimanalmente sull’andamento dei mercati, effettuando operazioni di investimento con cadenza mensile e impegnando in investimenti il 75% del proprio patrimonio con l’obiettivo di incremento dello stesso nel lungo periodo”. Anche la conformità del titolo contestato rispetto a detta profilatura era stata posta in evidenza. Inoltre, la società aveva eccepito il trasferimento del portafoglio mobiliare presso altra banca, fatto che avrebbe consentito alla cliente di rinegoziare i titoli conseguendo, nel periodo di riferimento, un netto guadagno senza dimenticarsi di rilevare anche l’ottima performance ed il deciso guadagno ottenuti con la consulenza complessivamente prestata alla cliente.

Veniamo ora alle motivazioni alla sentenza prospettate dal Tribunale berico.

Le valutazioni del TribunaIe avevano riguardato, in particolare, l’osservanza dell’obbligo di corretta profilatura della cliente con una valutazione complessiva della stessa che, a detta del Tribunale, “appare inoltre coerente con la profilatura sopra esaminata”.

Anche rispetto ai principi previsti dalla c.d. KYC – know your costumer (conosci il tuo cliente), il Tribunale vicentino non rileva particolari censure visto il cd. “Profilo cliente: alto” considerato adeguato al complessivo status conoscitivo della cliente che “non può di certo qualificarsi come risparmiatrice inconsapevole”.

Tuttavia, l’approfondimento rispetto allo strumento finanziario in questione aveva evidenziato che alla cliente “dovevano essere raccomandati solo titoli ascrivibili, per tipologia, al patrimonio di conoscenze dichiarato o estranei a tale perimetro, purché la raccomandazione venisse accompagnata da un’informativa completa ed esaustiva sulle caratteristiche del prodotto finanziario”.

È quindi sull’osservanza dell’obbligo di informazione attiva a beneficio del cliente che il Tribunale appunta la sua attenzione: doveva essere considerata la ‘bassa’ conoscenza che la cliente aveva dichiarato di avere sui prodotti derivati. La valutazione di tale aspetto, anche in forza del principio di esecuzione del contratto secondo correttezza e buona fede, richiede che gli investitori non professionali possano prendere le loro decisioni in modo consapevole.

Assume così rilievo il valutare l’adeguatezza della proposta di acquisto sottoposta alla cliente alla luce della raccomandazione n. 97996/2014, 4.2.3, iv, nella quale CONSOB raccomanda agli intermediari di non distribuire prodotti derivati come quelli in esame a clientela non professionale.

Infatti, l’attrice aveva dichiarato di avere una ‘bassa’ conoscenza dei prodotti derivati. Gli stessi, dunque, proprio sulla base della profilatura elaborata dalla società non dovevano essere alla stessa proposti.

Dal punto di vista processuale, è onere dell’investitore di allegare l’inadempimento da parte dell’intermediario ai suoi obblighi informativi mentre spetterà all’intermediario di dimostrare di averli adempiuti con la diligenza professionale cosa che la società, nel caso di specie, non avrebbe fatto.

Chiaro quindi il suo inadempimento che richiede la quantificazione del risarcimento del danno, “ravvisabile ogniqualvolta l’attore dimostri, anche per presunzioni, che se fosse stato adeguatamente informato avrebbe desistito dall’operazione finanziaria poi rivelatasi svantaggiosa” purché la cliente avesse dato prova dello stesso e “del nesso causale tra la condotta della controparte e il pregiudizio economico subito”.

Irrilevante, inoltre, l’affermazione della società di aver fatto conseguire alla cliente un netto vantaggio economico nel tempo, definito dal Tribunale come “argomento destituito di ogni fondamento giuridico”.

In merito invece, alla possibilità della cliente di vendere il titolo (con guadagno) dopo aver conferito i titoli ad istituto di credito abbandonando la relazione con la società di consulenza, la materia è da esaminare alla luce dell’art. 1227 Cod. Civ., che disciplina il cosiddetto fatto colposo del creditore, con particolare riferimento al secondo comma che evidenzia il venir meno del risarcimento del cosiddetto danno evitabile con l’ordinaria diligenza della cliente.

Anche le condotte omissive rilevano? L’inerzia della cliente che non ha successivamente venduto il titolo (in guadagno) ha contribuito a cagionare il danno? Due gli orientamenti della giurisprudenza: il primo, basato sul concetto penalistico dell’obbligo di impedire il danno da parte di chi è titolare di una posizione di garanzia – ovvero di chi ha l’obbligo giuridico di impedire un evento ex art. 40, comma 2, Cod. Pen.), il secondo basato sul principio costituzionale di solidarietà economica e sociale e sulla buona fede nell’adempimento delle obbligazioni che, nel caso che ci occupa, avrebbe potuto rappresentare un obbligo della cliente di attivarsi per tutelare la controparte.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, chiamate a pronunciarsi sul contrasto appena esaminato (sentenza n. 24406/2011) hanno preferito il secondo orientamento al quale il Tribunale di Vicenza si è prontamente uniformato sancendo che l’inerzia dell’investitore è giuridicamente rilevante rispetto alla produzione del danno “purché la condotta omessa, idonea a contenere gli effetti pregiudizievoli dell’inadempimento dell’intermediario finanziario, sia imposta dall’ordinaria diligenza e sia parimenti esigibile”, vale a dire che se la cliente “poteva avvedersi del proprio incauto acquisto usando l’ordinaria diligenza ….  avvalendosi peraltro dell’assistenza professionale dei nuovi consulenti finanziari” aveva l’obbligo di attivarsi in tal senso.

A nulla sono valse le repliche della cliente di non aver rivenduto il titolo perché non dedita alle transazioni speculative e sulla scorta della consulenza ricevuta dalla società convenuta di non procedere alla vendita sino alla sua scadenza perché la prima affermazione “non esclude l’opportunità della rivendita immediata di un titolo laddove non confacente al proprio profilo di rischio” mentre la seconda non era stata in alcun modo provata dalla cliente.

Il titolo in questione poteva essere negoziato sul mercato (la cliente aveva negato tale circostanza ritenendolo totalmente illiquido) ma un titolo O.T.C. – Over The Counter – non è, in assoluto, impossibile a rivendersi; la cliente non avrebbe nemmeno provato di aver avuto la volontà di cedere il prodotto derivato.

In ragione di quanto sopra il Tribunale, nel liquidare il danno, oltre ad interessi legali e la rivalutazione monetaria a decorrere dalla data di verificazione dello stesso, ha deciso di ridurre della metà l’importo quantificato per il concorso colposo del soggetto danneggiato ritenendo che la mancata rivendita del titolo avesse inciso significativamente sulla quantificazione del danno risarcibile.

 

 

 

Share This