Una società cliente di una banca, titolare di un rapporto di conto corrente facilitato da aperture di credito (nonché i suoi garanti personali) agivano in giudizio per ottenere “la condanna dell’istituto di credito alla restituzione di somme indebitamente corrisposte” e “la rideterminazione dei rapporti di dare e avere tra le parti, mediante compensazione tra quanto corrisposto in eccesso nel corso del rapporto e quanto asseritamente ancora dovuto alla banca”.

L’istituto di credito si costituiva in giudizio per il rigetto delle domande dei clienti chiedendo, a sua volta, la condanna degli attori al pagamento del saldo passivo del conto.

Il Tribunale competente aveva respinto le domande dei clienti e accolto quella della banca rilevando la mancata produzione, da parte della società correntista e dei suoi fideiussori del contratto di conto corrente mentre l’istituto di credito aveva presentato in giudizio un piano di rientro “avente valore di ricognizione di debito” che, ai sensi dell’art. 1988 c.c., dispensa colui a favore del quale la stessa è  fatta (la banca) dal provare il rapporto fondamentale (il debito) la cui esistenza è provata sino a prova contraria.

La società correntista ed i fideiussori ricorrevano in appello nel quale risultavano ancora soccombenti con la stessa motivazione addotta dal Tribunale: la banca è “dispensata dall’onere di provare il rapporto fondamentale spettando alla controparte di dare dimostrazione dell’insussistenza del credito” vale a dire della “nullità e illegittimità degli addebiti operati dalla banca nel corso del rapporto”.

Società e fideiussori ricorrevano allora alla Suprema Corte di cassazione con due motivi di doglianza: con il primo sostenevano che l’atto di ricognizione del debito fosse stato inidoneo alla produzione di effetti in quanto il credito non poteva sorgere in ragione della nullità del contratto (quest’ultimo non sarebbe stato stipulato nella forma scritta – obbligatoria ai sensi dell’art. 117 del Testo Unico Bancario – rendendo impossibile la sanatoria dello stesso, privo di un requisito fondamentale, per mezzo dell’atto di ricognizione del debito (in buona sostanza veniva meno la presunzione dell’esistenza del rapporto di conto corrente).

Col secondo motivo adducendo che l’onere della prova (art. 2697 c.c.), ora a carico della banca in assenza del requisito della forma scritta previsto dal codice civile (art. 1325 c.c.) in uno con il Testo Unico Bancario (art. 117, commi 1 e 3, che non ammette deroga) rendeva impossibile alla stessa di “addebitare alla società correntista somma alcuna: men che meno gli importi corrispondenti alle voci contestate” da società e garanti.

La Suprema Corte ha ritenuto i motivi di ricorso presentati dalla società e dai fideiussori del tutto fondati.

La sentenza statuisce che“Secondo la giurisprudenza di questa S.C., in tema di conto corrente bancario, il piano di rientro concordato tra la banca ed il cliente, ove abbia natura meramente ricognitiva del debito, non ne determina l’estinzione, né lo sostituisce con nuove obbligazioni, sicché resta valida ed efficace la successiva contestazione della nullità delle clausole negoziali preesistenti (Cass. 19 settembre 2014, n. 19792)” con la conseguenza che “La Corte di merito non avrebbe potuto conseguentemente accogliere la domanda (riconvenzionale) della banca sulla scorta del nominato piano di rientro” a fronte della “inesistenza del contratto scritto” e della ‘”applicazione di condizioni non contrattualizzate: essa avrebbe dovuto verificare se nella fattispecie si ravvisasse o meno una nullità del contratto per vizio di forma”.

All’accoglimento del ricorso seguiva la cassazione della sentenza ed il rinvio della causa alla Corte di appello chiamata a fare applicazione del seguente principio di diritto: “Il piano di rientro concordato tra la banca ed il cliente, avente natura meramente ricognitiva del debito, non preclude la contestazione della nullità delle clausole negoziali preesistenti e non esonera pertanto la banca, attrice in giudizio per il pagamento del saldo, dal documentare le condizioni convenute nel contratto di conto corrente, che è soggetto alla forma scritta ad substantiam a norma dell’art. 117 t.u.b.”.

 

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