La sentenza riguarda una causa fra S.I.M. e Banca dove la prima esponeva di avere stipulato con la seconda un contratto di conferimento di incarico a promuovere e collocare presso il pubblico servizi propri dell’attività bancaria e di investimento. Il testo contrattuale prevedeva, tra altre pattuizioni, sia l’impegno a non reclutare o stornare i promotori finanziari dell’altra parte che quello della Banca a non utilizzare i dati in suo possesso relativi ai clienti acquisiti tramite la S.I.M.

Tuttavia, durante la vigenza del contratto, tre dei promotori finanziari della S.I.M. avevano comunicato la cessazione della collaborazione con la stessa per intraprendere la propria attività lavorativa presso la Banca; naturalmente, le dimissioni dei promotori avevano comportato la repentina perdita del pacchetto clienti nonché il venir meno dei proventi derivanti dalle commissioni, fatti per i quali scatta la richiesta di risarcimento del danno.

La Banca, dal canto suo, si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto delle domande della S.I.M e contestando il fatto che i promotori finanziari erano usciti dalla loro rete in modo del tutto autonomo, senza alcuna sua sollecitazione, per una loro scelta lavorativa personale tendente alla crescita professionale.

Inoltre, i clienti gestiti dai promotori finanziari, a detta della Banca in numero modesto e con un patrimonio mobiliare non rilevante, avrebbero scelto del tutto autonomamente di abbandonare la S.I.M. in assenza di alcun intervento volto a sottrarre clientela da parte della Banca ma solo in ragione della relazione fiduciaria che caratterizza il rapporto promotore/cliente.

Anche i contratti di conto corrente ed i servizi offerti ai nuovi clienti sarebbero stati differenti da quelli oggetto del conferimento di mandato alla S.I.M. e il semplice passaggio dei promotori finanziari alla Banca non sarebbe stato bastevole a fondare l’azione risarcitoria intentata dalla S.I.M. in mancanza sia della prova dell’esistenza di “condotte sottrattive” di promotori da parte della Banca che della volontà di nuocere alla società concorrente.

Quanto al danno lamentato, a detta della Banca esso era stato quantificato in maniera del tutto generica in mancanza di prova dei pregiudizi realmente subiti dalla S.I.M.

Ciò premesso, il Tribunale riteneva di accogliere le domande della S.I.M. chiarendo che lo “storno” dei promotori finanziari non poteva registrare limitazioni ai diritti costituzionali di impresa (nonché di quelli del Lavoratore) a mezzo di interpretazione eccessivamente rigida di una clausola contrattuale: non è infatti ammissibile dilatare i limiti previsti dall’art. 2596 del codice civile (patto limitativo della concorrenza).

Quanto alla violazione contrattuale della Banca il Tribunale osservava che la trasmigrazione dei promotori finanziari, in costanza di contratto, nonché la successiva acquisizione, ad opera della Banca, dei clienti gestiti dai promotori finanziari e l’offerta dei servizi bancari e di investimento ai nuovi clienti provenienti dalla S.I.M. hanno integrato l’inadempimento della Banca risultando chiaro che il trapasso dei tre promotori finanziari sopra menzionati sia avvenuto a seguito di colloqui, selezioni dei concorrenti, controllo dell’iscrizione del candidato all’albo professionale e delle capacità professionali acquisite non essendo credibile il contrario.

Inoltre, la violazione della norma contrattuale si è concretizzata anche con l’offerta dei servizi bancari e di investimento ai nuovi clienti provenienti dalla S.I.M.: la Banca avrebbe potuto evitare le conseguenze delle sue azioni se solo avesse atteso la scadenza del contratto.

Quanto al danno in capo alla S.I.M. esso si concretizzava “nell’avere perduto anzitempo la gestione dei clienti in forza ai promotori che hanno esercitato il recesso e nel non avere incassato i relativi introiti”: verificate le posizioni dei singoli promotori, il Tribunale optava per l’utilizzo di un criterio equitativo prendendo a parametro la media degli incassi persi quantificati sulla base dei prospetti prodotti agli atti di causa.

Per l’unico promotore passato alla concorrenza al termine del percorso formativo, in ragione degli “inutili esborsi per una unità che non ha mai lavorato pro domo sua” gli esborsi riferiti ai costi complessivamente sostenuti dalla S.I.M. dovranno essere rimborsati dalla Banca che è stata condannata anche a rifondere le spese di lite.

 

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