“Indennità di mancato preavviso e indennità di portafoglio nel contratto di agenzia del consulente finanziario: un’interessante sentenza della Corte d’Appello di Palermo”

Il Tribunale di Sciacca aveva dichiarato l’illegittimità del recesso dal contratto di agenzia in essere tra istituto di credito e consulente finanziario condannando l’istituto a versare al medesimo due distinti importi: il primo a titolo di indennità di mancato preavviso ed il secondo per indennità suppletiva di clientela rigettando la domanda relativa al riconoscimento della cosiddetta indennità di portafoglio.

Il Tribunale, accertato che tra le parti era intercorso un rapporto di agenzia con facoltà di mandato plurimo, interrotto da parte dell’istituto di credito in assenza di giusta causa, confermava nel suo giudicato sia la prima che la seconda (quest’ultima, a fronte di contratto sciolto ad iniziativa della mandante per fatto non imputabile all’agente, in presenza dell’incontestato incremento di fatturato ottenuto nel tempo dall’istituto di credito committente).

Viceversa, l’indennità di portafoglio, subordinata alla condizione del mancato svolgimento di attività concorrenziale nel biennio successivo alla cessazione del rapporto risultava non dovuta per difetto di prova delle condizioni contrattualmente previste.

Avverso la pronuncia di primo grado entrambe le parti avevano interposto appello: la banca per violazione della clausola risolutiva prevista dal contratto di agenzia azionabile, a sua detta, sulla base di una sola negligenza rilevata che aveva generato, in primo grado, ingiusta condanna al pagamento dell’indennità di mancato preavviso e dell’indennità suppletiva di clientela; il consulente contestando la qualificazione di agente plurimandatario sulla scorta del quale il Tribunale aveva liquidato indennità di risoluzione in misura ridotta nonché insistendo per la liquidazione della indennità di portafoglio.

La Corte, nel valutare la vicenda, ha statuito che l’accertamento della negligenza, riassunto da parte della mandante anche in un unico atto negligente, è prerogativa del solo organo giudicante che, in questo caso, ha ritenuto insufficiente a provare la colpa del consulente la semplice ammissione del medesimo “allusiva ad una circostanza rimasta ignota”; in buona sostanza il motivo di appello della banca si presentava non provato.

Tale mancata prova rendeva inapplicabile la clausola risolutiva espressa invocata dalla banca e “inagibile l’accertamento della giusta causa di recesso, non consentendo una valutazione in termini di gravità e di rilevanza del supposto inadempimento nel funzionamento del rapporto di agenzia”.

Analogamente infondato è il motivo di appello contro la condanna al pagamento dell’indennità suppletiva di clientela: la stessa “realizza la funzione di remunerare l’agente che abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari” mentre “il preponente riceve ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti”, fatti tutti provati dal consulente.

Quest’ultimo censurava il giudizio di primo grado sia rispetto alla nozione applicata di agente plurimandatario che al mancato riconoscimento dell’indennità di portafoglio.

La Corte, riteneva “solo marginalmente fondati” i motivi di appello del consulente.

Quanto alla qualità di agente monomandatario o plurimandatario, la Corte ha confermava il giudizio di primo grado che rilevava, dal contratto d’agenzia, come “l’agente potrà svolgere ogni altra attività e potrà trattare affari di altre imprese, ciò implicando l’assenza di vincoli di esclusiva” in capo al consulente nello svolgimento della propria attività di promozione finanziaria.

Circa l’indennità di portafoglio, in assenza di uno specifico patto di non concorrenza, la Corte ha considerato che l’onere della prova non fosse stato sufficientemente fornito da parte del consulente finanziario se non in via indiziaria; la banca preponente, avrebbe validamente eccepito di non aver mai tributato al consulente le necessarie qualificazioni per essere titolato alla percezione dell’indennità in questione.

La Corte confermava quindi la sentenza impugnata dichiarando dovuti dalla banca anche gli interessi legali e la rivalutazione monetaria sulle somme riconosciute al consulente dalla sentenza di primo grado a decorrere dalla data di maturazione dei crediti e fino al loro soddisfacimento.

 

 

 

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