“La dichiarazione di operatore qualificato rilasciata dall’amministratore della società esonera la banca da ulteriori verifiche: la sua sola esistenza è fonte di prova”

Cass. civ., sez. I, 15 luglio 2021, n. 20249

Con la sentenza in esame la Suprema Corte di cassazione si pronuncia nuovamente sulla portata degli obblighi informativi dell’intermediario nei confronti dell’investitore “operatore qualificato”.

Il caso vede una società citare in giudizio una banca affinché, tra altri motivi di doglianza, fosse dichiarata la nullità, l’annullamento o la risoluzione, in uno con il risarcimento del danno, di contratti di cd. interest rate swap previa declaratoria di invalidità della dichiarazione di operatore qualificato. Il Tribunale ritiene dirimenti la non applicabilità agli operatori qualificati dei cd. obblighi informativi, le norme in tema di negoziazione delle offerte fuori sede (che richiedono la presenza di un promotore finanziario) e gli obblighi informativi delle banche nella presentazione dei servizi di investimento. Anche la nuova normativa MIFID, nonché l’affermata estraneità dell’operazione al core business dell’impresa, non sono considerate dal giudice date le caratteristiche della società che agiva in giudizio. Il Tribunale, pertanto, rigetta le domande avanzate dalla società investitrice e la sentenza é appellata da quest’ultima. La Corte d’appello, preso atto dei rapporti intercorrenti con la convenuta (persistenti rapporti di affidamento, impugnativa dei contratti quadro, etc.), osserva come la regolamentazione CONSOB vigente copra gran parte degli obblighi informativi del TUF che, fermi i doveri di correttezza e buona fede, permettono di considerare in modo più circoscritto tali obblighi allorquando il cliente sia un investitore qualificato.

In relazione alla richiesta di annullamento dei contratti per dolo o errore, la Corte decide che “le doglianze non erano accoglibili sia perché le censure sollevate sul dolo erano state tardivamente proposte sia perché era inconferente il richiamo all’art. 1337 c.c. (che tratta della cd. buona fede precontrattuale) e indimostrate le asserite reticenze dell’intermediario, stante le chiare previsioni contrattuali con esplicite assunzioni di rischio elevato di perdite (omissis) e la posizione di operatore qualificato auto-dichiarata”.

Insoddisfatta dell’esito, la società adisce la Cassazione adducendo, fra i motivi di ricorso, che gli obblighi informativi a carico degli intermediari finanziari si applicano anche in favore degli operatori qualificati e che la banca aveva proposto prodotti derivati non in linea con le esigenze di copertura delle sue esposizioni creditizie in evidente spregio dei suoi reali interessi. La società rivendica anche la sua qualifica di “soggetto debole” del rapporto contrattuale, stante l’elevata esposizione debitoria verso le banche e la carenza di adeguatezza dell’informazione in relazione alla complessità degli strumenti finanziari stipulati. E’ anche rilevato che la banca convenuta era già stata oggetto di sanzioni CONSOB per irregolarità nella gestione di prodotti della specie e che le sue rendicontazioni periodiche erano lacunose ed insufficienti a dare chiaro riscontro dell’evolversi dei rischi. Dunque, secondo la ricorrente, sussiste la responsabilità contrattuale della banca in ragione del difetto di informazione, di trasparenza e di lealtà nella gestione del contratto.

La Suprema Corte ritiene inammissibile la carenza informativa ricordando che “nei contratti di intermediazione finanziaria, la dichiarazione formale di cui all’art. 31, comma 2, Reg. Consob n. 11522 del 1998, sottoscritta dal legale rappresentante, in cui si affermi che la società amministrata dispone della competenza ed esperienza richieste in materia di operazioni in strumenti finanziari, vale ad esonerare l’intermediario dall’obbligo di effettuare per suo conto ulteriori verifiche al riguardo, gravando sull’investitore l’onere di provare elementi contrari emergenti dalla documentazione già in possesso dell’intermediarioe, riprendendo sua precedente pronunciaé sufficiente, ai fini dell’appartenenza del soggetto alla categoria delle persone giuridiche aventi la veste di operatore qualificato, l’espressa dichiarazione scritta richiesta dal regolamento, la quale esonera l’intermediario dall’obbligo di ulteriori verifiche, in mancanza di elementi contrari emergenti dalla documentazione già in suo possesso, e permette al giudice ex art. 116 c.p.c. (che regola la valutazione delle prove) di ritenere sussistente detta qualità (Cass. 26 maggio 2009, n. 12138).

Tale sentenza, dunque, ha ritenuto la dichiarazione dell’investitore sufficiente sia per esonerare l’intermediario dal compiere accertamenti ulteriori, sia per ritenere provata in giudizio la sua qualità, anche come unica e sufficiente fonte di prova.

In realtà, il tema sarebbe, piuttosto, quello degli obblighi comportamentali di carattere generale, con particolare riferimento agli obblighi di diligenza e di correttezza e di adeguata acquisizione di informazioni dei clienti. La Cassazione nota come il giudice dell’appello “abbia evidenziato che gli obblighi di correttezza non erano stati disattesi dalla banca” (ndr. in tutti i singoli ordini sottoscritti, nelle conferme d’ordine e in diverse dichiarazioni di recesso e di estinzione erano specificati i tassi parametro particolari nonché le rispettive scadenza ed il nozionale; che negli accordi quadro era stato ben chiarito il meccanismo delle liquidazioni periodiche, che sarebbero state regolate sul conto corrente ordinario, con possibilità per il cliente di richiedere la rendicontazione; che la documentazione e la rendicontazione era stata comunque inviata al cliente non appena questi ne aveva fatto richiesta e che i contratti quadro erano chiari nell’evidenziare che gli importi dovuti erano quelli unilateralmente determinati dalla banca e che il valore dei contratti fra le parti era soggetto a notevoli variazioni, con l’assunzione di un elevato rischio di perdite, preventivamente non quantificabili, non sussistendo alcuna garanzia di mantenere invariato il valore dell’investimento).

Respinto anche un altro motivo di doglianza rispetto ad “un difetto di strutturazione e di gestione dei prodotti finanziari fabbricati da (omissis) e venduti da (omissis)” rilevato da CONSOB e concretizzatosi in una “eccessiva ingegnerizzazione non controllata neanche all’interno dell’istituto di credito e in una politica di pricing totalmente opaca”: anche tale motivo non ha superato il vaglio di ammissibilità.

Inammissibile anche il motivo afferente ai mezzi di prova presentati per denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 c.c. (che disciplina le cause di nullità del contratto) e di alcune normative CONSOB: la Corte decide che esse sono inammissibili.

Il ricorso è quindi rigettato con la condanna della società ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese.

 

 

 

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