“Rispetto dei termini di contestazione degli addebiti – Anche gli appunti del consulente finanziario possono rilevare”

Corte appello Perugia sez. I, 28/06/2021, n.399

Una consulente finanziaria propone opposizione alla competente Corte d’Appello “ai sensi dell’art. 195 del TUF, al fine di ottenere l’annullamento delle delibere CONSOB ….. la seconda in rettifica della prima, con la quale era stata disposta nei suoi confronti la sospensione dall’Albo Unico dei consulenti finanziari per la durata di mesi tre”.

Subita per giusta causa la revoca del suo rapporto con la banca, la consulente avvia immediatamente una richiesta di motivazione del provvedimento alla stessa che giunge solo dopo che, con una seconda contestazione, era stata invocata anche la violazione dell’art. 107 comma 1 del Regolamento CONSOB (trasparenza e correttezza nella commercializzazione di OICR).

Per una puntuale ricostruzione dei fatti è bene ricordare che con la prima contestazione la banca evidenziava l’alterazione di moduli di rendiconto in uso ai promotori finanziari nonché l’omessa osservanza di un ordine di investimento tramite la falsificazione della firma della cliente, con la seconda si assumeva l’alterazione del rendiconto di altro cliente a mezzo di condotta analoga alla precedente.

La ricorrente, in sua difesa, riprendendo le memorie difensive presentate in precedenza alla CONSOB (oggetto di una contestazione della stessa per non aver trasmesso le note all’ufficio competente), confermava in giudizio che i moduli in questione non hanno valenza impegnativa per la banca trattandosi, nel caso di specie, di meri appunti ad uso esclusivo dei consulenti finanziari; inoltre, in uno dei due casi, il modulo sarebbe stato addirittura vergato da una cliente.

Ma è sul termine massimo per l’accertamento e per la contestazione degli addebiti (centottanta giorni ai sensi del secondo comma dell’art. 196 del D. Lgs. n. 58/1998), che si incardinava una ulteriore diatriba fra CONSOB, che riteneva decorrenti i termini dalla data di conclusione della procedura di accertamento dell’infrazione, mentre la ricorrente propendeva per la data di comunicazione dei fatti, da parte della banca, all’organo accertatore.

Sommariamente ricostruita la vicenda vanno soprattutto posti in rilievo i motivi di ricorso da parte della consulente avverso la prima delle delibere indicate distinguendo fra motivi processuali e sostanziali.

Fra i primi si annoverano l’omessa trasmissione all’Ufficio di Segreteria della competente Commissione, in spregio ai “princìpi vigenti in merito a tutte le impugnazioni esperite in sede amministrativa” della memoria difensiva di controdeduzione alla richiesta di sospensione nonché la ridetta violazione dei termini confermata, a detta della ricorrente, dal fatto che l’azione disciplinare era stata avviata ben trecentoventi giorni dopo l’acquisizione della notizia d’infrazione da parte del servizio CONSOB competente in assenza di alcuna rilevante complessità d’esame.

Nel merito della questione furono sollevati il difetto di prova dell’esistenza di informazioni non veritiere dalle quali si potesse desumere l’esistenza delle condotte di falso, l’infondatezza degli argomenti sostenuti da CONSOB circa l’uso della modulistica predisposta dalla banca e utilizzata dall’agente (documenti di carattere privato e non ufficiali) nonché l’assenza di colpa nell’incremento di investimento praticato (peraltro riconosciuto dalla stessa CONSOB: da rilevare qui come una perizia calligrafica di cui fu affermata l’esistenza non sia mai stata prodotta in giudizio.

Ultimo motivo di ricorso fu quello dell’eccessività della sanzione inflitta, “sia per la ritenuta infondatezza della falsificazione della firma sia per l’assenza di danni alla cliente o di profitti per la promotrice, che non giustificavano l’irrogazione di una sanzione, irrogata in misura superiore alla metà del massimo previsto dalla legge”.

I giudici dell’appello considerarono l’impugnazione fondata e degna di accoglimento ma solo rispetto all’eccessività della sanzione inflitta.

Quanto alla supposta violazione del termine di centottanta giorni per l’irrogazione della sanzione amministrativa da parte di CONSOB, la Corte ha sancito “che essa non sussiste, considerando i parametri indicati nella sentenza della Corte di Cassazione, sezione II, n. 21171 in data 8 agosto 2019, in tema di sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme che disciplinano l’attività di intermediazione finanziaria, il momento dell’accertamento, dal quale decorre il termine di decadenza per la contestazione degli illeciti da parte della Consob, va individuato in quello in cui la constatazione si è tradotta, o si sarebbe potuta tradurre, in accertamento, dovendosi a tal fine tener conto, oltre che della complessità della materia, delle particolarità del caso concreto anche con riferimento al contenuto e alle date delle operazioni”.

Il termine utilizzato, tenuto conto della progressione delle comunicazioni della banca a CONSOB e quindi della complessità dell’indagine, “sebbene sia stato, rispettivamente, di circa cinque o dieci mesi per la contestazione degli addebiti ….. appare congruo, rispetto al contenuto e alle date delle operazioni, secondo l’espressione utilizzata dalla Suprema Corte”.

Quanto agli argomenti sostenuti dall’appellante nel merito della sanzione amministrativa irrogata osserva la Corte “che la tesi, secondo cui essa avrebbe fornito ai predetti clienti informazioni non veritiere, è confortata dalla documentazione in atti”.

In ragione di ciò la Corte precisa che “secondo la norma regolamentare violata, i ‘consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede devono comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza. Essi devono osservare le disposizioni legislative e regolamentari relative alla loro attività e a quella della categoria del soggetto abilitato per conto del quale operano. Devono inoltre rispettare le procedure del soggetto abilitato che ha loro conferito l’incarico. Dai moduli acquisiti agli atti, risulta che effettivamente sono stati aggiunti degli appunti manoscritti, rispetto al testo effettivamente in uso ai promotori finanziari della banca, non rappresentativi della reale situazione patrimoniale dei clienti, per cui è condivisibile l’affermazione, contenuta nel provvedimento impugnato, secondo il quale l’obbligo di diligenza del promotore finanziario è stato violato, in rapporto alla non corrispondenza tra la situazione effettiva degli investimenti e quella, indicata nel modulo tramite l’apposizione di differenti segni grafici e indipendentemente dalla mancata utilizzazione della formula di rito, circa il valore meramente indicativo e non ufficiale del modulo usato dalla banca. Sebbene non sia stata provata la finalità di manipolazione dei moduli, rileva certamente, al fine dell’esistenza della violazione e sotto il profilo della diligenza nell’espletamento dell’attività professionale del promotore finanziario, l’oggettiva discrepanza tra la situazione degli investimenti in essere e quella, riportata negli appunti manoscritti dal promotore finanziario sui moduli ufficiali, in uso alla banca”.

Rispetto alla modesta offensività della condotta posta in essere dalla consulente la Corte ha rilevato che “non essendo stata provata tramite l’esecuzione di una perizia calligrafica la falsità della firma della ….. (cliente) sui moduli, né essendo stato provato un effettivo pregiudizio per la cliente dall’assenza di autorizzazione all’esecuzione dell’operazione, è la violazione derivante dall’avere l’appellante modificato di sua volontà una disposizione in favore di un fondo comune di investimento, laddove l’operazione medesima, sebbene non poteva essere qualificata corretta se fosse effettivamente avvenuta senza la sottoscrizione della cliente, non appariva giustificata dall’inesistenza di una disponibilità finanziaria di quest’ultima, che la potesse consentire”.

Inoltre, nella motivazione afferente alla seconda contestazione, la Corte sancisce che “quanto alla vicenda riguardante il cliente ….., anche in questo caso la scarsa comprensibilità dell’appunto, vergato a mano e contenente cifre diverse da quelle, indicate nel documento ufficiale della banca, consente di concludere per la violazione dell’obbligo di diligenza da parte del promotore finanziario”!!

In conclusione, la Corte, per i motivi esposti, “sulla base della modesta offensività dei comportamenti indicati dalla banca a carico del promotore finanziario, nonché sulla base del fatto che l’alterazione della firma della ….. (cliente) non è stata provata, dell’assenza di recidiva e della limitazione delle violazioni contestate a due soli clienti, si ritiene opportuno ridurre la sanzione applicata, sino a determinarla nell’ammontare di mesi uno di sospensione (dall’Albo Unico dei consulenti finanziari)”.

Da rilevare, nel dispositivo della sentenza, anche la decisione di compensare le spese del giudizio fra le parti disponendo, altresì, la comunicazione della sentenza a CONSOB per la pubblicazione ai sensi del D. Lgs. n. 58/1998.

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